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I graffi d’arte.

Intervista a Igor Scalisi Palminteri di Domenico Marcella

Siamo cresciuti con l’idea che per vedere un bel quadro bisognasse entrare in un museo. Col tempo ci siamo accorti che si poteva andare in una qualsiasi città, girare per strada, trovare delle opere straordinarie sui muri, e contribuire a renderle virali dopo averle immortalate e condivise sui social. Siamo a Palermo, nel quartiere dell’Albergheria. Sono centinaia i turisti che – dotati di smartphone o macchina fotografica – ondeggiano e si accostano davanti al murales di San Benedetto il Moro, realizzato dall’artista Igor Scalisi Palminteri in occasione dell’undicesima edizione di Mediterraneo antirazzista. Igor Scalisi Palminteri non è un graffitaro-fantasma a cui dare la caccia, ma un artista dalla fantasia poliedrica che da qualche anno crea un interessante fermento nel capoluogo siciliano (e non solo). 

 

Igor, perché hai scelto l’Albergheria a Palermo? 

Perché molti degli abitanti di questo quartiere non hanno mai messo piede in un museo. Molti cittadini dell’Albergheria hanno esigenze primarie diverse, e l’arte è l’ultima cosa a cui probabilmente possono pensare. Ho voluto così creare una connessione tra l’opera d’arte e la loro quotidianità.

 

Secondo Cézanne «Nessun dipinto fatto in studio vale quanto uno fatto all’aperto»

Ed è assolutamente vero. Alcune zone delle nostre città hanno bisogno di questi interventi che sicuramente avranno una lettura futura nella storia dell’arte contemporanea. In strada non si dipinge da oggi, ma un po’ da sempre. Oggi però si stanno riscrivendo nuovi importanti capitoli.

 

La provocazione è quella di applicare l’arte a luoghi inspiegabilmente abbandonati

Sì. Molte periferie si stanno adeguando. È un segnale positivo che corre il rischio di diventare una moda, svilendo così il valore intrinseco che questo intervento ha. Ma il gioco vale la candela.

 

La bellezza della street art è la sua totale accessibilità. Siamo nel massimo splendore del social network che – divenuti ormai strumento di divulgazione dell’arte – donano agli artisti una visibilità che anni fa era impensabile

La visibilità è arrivata attraverso questo mezzo anche per me, riservandomi possibilità importanti di lavoro e di affermazione. Chi passa e riconosce una mia opera sui muri di Palermo, mi tagga sia su Instagram che su Facebook. Conservo queste foto, sono tante; da un lato mi entusiasma questo aspetto, ma da un lato mi verrebbe voglia di spronarli a guardare le opere con gli occhi, e non attraverso l’obiettivo dello smartphone.

 

Ma tu sei uno street artist o un graffitaro?

Un graffitaro, ma nell’accezione primitiva del termine; una specie di uomo delle caverne contemporaneo che ogni tanto esce e graffia i muri. Al di là dei problemi semantici vari, sono sempre fedele a me stesso e alla mia ricerca. Mi sono quasi sempre espresso attraverso le icone sacre – anche se per me non sono dipinti religiosi ma politici – e continuo a farlo.

 

È palese: la Santa Rosalia e il San Benedetto il Moro vanno oltre il culto religioso 

Lanciano due messaggi diversi. San Benedetto l’ho dipinto perché è nero. Palermo si dice aperta, ma sicuramente ha tanto bisogno di capire l’importanza della diversità. Santa Rosalia, va detto, non è mai esistita; è un’invenzione politico-religiosa del Seicento. Palermo aveva bisogno di un supereroe e hanno scelto lei. Lo sanno tutti, ma fanno finta di non sapere perché c’è il festino di luglio da onorare. Il mio dipinto rappresenta la donna, la morte, la sofferenza e un’idea di gioia che va oltre la santità. Ho rappresentato una donna con i capelli corti, forte e tenace che lotta contro la società e gli uomini che ancora la discriminano. Ha in mano un teschio, che dal punto di vista religioso indica il mistico che riflette sulla morte, ma in questo caso è il pensiero che la morte è forte come la vita, e viceversa. Se dalla morte può nascere la vita, allora anche il mondo può diventare un posto migliore.

 

Ai santi leghi sempre messaggi potentissimi. L’immagine del santino “Santa Rosalia aprici gli occhi” è diventato virale

L’ho creato per la festa di luglio. C’erano quelli della ONG Mediterranea Saving Humans, e tanta altra gente in gamba. Mi hanno chiesto di creare un segnale da distribuire, ed è venuta fuori l’dea giusta: una Rosalia che si toglie la corona di rose dal capo e la lancia a mo’ di salvagente per salvare un migrante. Mi esprimo per immagini e concetti brevi, il mio lavoro è quello di creare sintesi, ma è importante continuare a parlare di tematiche sociali, perché l’Italia ha ancora sacche piene di razzismo.

 

L’energia creativa che si sta sprigionando in questo periodo di disordine ha le sembianze di un’arte di denuncia, che lancia un macigno con l’intento di smuovere le acque per non farci restare indifferenti. Tu, praticamente, denunci

In questo momento strano che stiamo vivendo, è vero, sono in quel solco che tu chiami “di denuncia”. L’ho scelto sì, ma fino a qualche tempo fa non avrei accettato questa definizione. Oggi però non si può non essere così. Penso agli artisti che nel corso della storia hanno denunciato cose più pesanti. Nei luoghi in cui c’è un regime, la figura dell’artista diventa sempre di fondamentale importanza. Spesso mi chiedo perché la Chiesa non abbia mai santificato gli artisti, che sono figure attraverso cui – in maniera inequivocabile – arrivano dei messaggi forti.

 

Fai riferimento sempre alla Chiesa e ai suoi miti. La street art ha delle vicinanze con il mondo del fumetto. La tua produzione artistica è costellata anche di santi supereroi

Forse sono stato un po’ irrispettoso – ridipingendo le statuine della Madonna trasformandola in Wonder Woman, e quelle di Cristo da Superman – ma non blasfemo.

Ci sono delle icone antichissime che hanno intorno al proprio perimetro delle sezioni narranti le imprese biografiche del santo. Non è un’immagine antesignana dei fumetti? Quando si racconta una storia – specie se la sintesi di un’immagine non basta – si ricorre al fumetto, che appartiene a due categorie: al santo e al supereroe. Quando ho ridipinto quelle statuine, ho pensato a tutti quei cristiani che considerano la Madonna, Cristo e i santi come dei jukebox in cui inserire la monetina per ottenere la grazia che desiderano. Questa non è una fede matura.

 

Qual è la fede matura? 

Quella del cristiano maturo che si rimette alla volontà di Dio, pur desiderando il bene. Non m’interessa fare il teologo, ma in quel momento, attraverso quelle statuine, ho denunciato e deriso le persone che si rivolgono ai santi solo per avere in cambio qualcosa, trasformando i loro santi in Batman, Superman, Catwoman, Wonder Woman».

 

L’arte elitaria, sofisticata e complessa è respingente. Oggi le opere escono dai musei e dalle gallerie e diventano popolari. Possiamo considerarla la più grande vittoria dell’arte?

Questa cosa mi piace moltissimo. Voglio essere sempre più popolare affinché la mia arte possa essere compresa non soltanto dai laureati, ma anche da mia nonna analfabeta e da tutti coloro che non sono mai andati a scuola. La street art in questo momento arriva immediatamente a tutti perché il suo linguaggio è elementare. Per me è stata una svolta. Non sto portando niente di nuovo al mondo dell’arte, lo so benissimo; mi servo però di questo strumento ogni volta che ho bisogno di comunicare e creare connessioni. Rispondendo a un bisogno, a un’emergenza e a una necessità.

Via Treccani.it